Ecco perché House of the Dragon non deluderà i fan di Game of Thrones: la recensione
Una sola famiglia, una lotta di potere che viaggia nel tempo. E tanti, tanti draghi: House of the Dragon è pronto a conquistare il pubblico
È l’azzardo più grande di Hbo degli ultimi anni. Più precisamente, dal 2019 ad oggi, ovvero dall’anno in cui -con oltre 13 milioni di telespettatori- Game of Thrones finiva la sua corsa, diventando la serie tv più vista di sempre del network via cavo. A tre anni di distanza, l’eredità di quel fenomeno ricade tutto su House of the Dragon: ne abbiamo sentito parlare tantissimo, ma l’attesa sarà ripagata? E soprattutto, sarà capace di convincere i severissimi fan de Il Trono di Spade? Abbiamo visto i primi episodi in anteprima (la serie è in onda dal 22 agosto 2022 in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW in contemporanea assoluta con gli Stati Uniti): ecco cosa possiamo dire con la nostra recensione.
L’eredità che guarda al… passato
Un riferimento non casuale: al centro della nuova serie c’è proprio la casa Targaryen, negli anni in cui la loro fine ha inizio. House of the Dragon si sofferma infatti sugli eventi che condurranno a quella che è nota come la Danza dei Draghi, vale a dire la guerra civile che ha di fatto segnato la fine del dominio della casata sui Sette Regni e che è già stata citata all’interno di Game of Thrones -sia nella serie tv che nei libri da cui era tratta-.
House of the Dragon non è quindi un’opera nata appositamente per la tv, ma anche in questo caso ci si affida alla produzione letteraria di Martin. E non a caso, proprio lo scrittore figura come co-creatore del prequel, insieme a Ryan J. Condal (a cui dobbiamo l’affasciante serie fantascientifica Colony). Il sigillo di Martin, insomma, è presente in più di un senso: anche questo aiuta non poco la serie nel suo sviluppo.
Dal gioco alla danza: House of the Dragon cambia dimensione, ma resta il viaggio
Se Il Trono di Spade, fin dal titolo originale, ci narrava il gioco dei troni, per la conquista di quello più ambito (nonché più difficile da reggere), House of the Dragon, come detto, ci accompagna verso una crudele e spietata danza, quella dei draghi, chiamata così perché a combattere, oltre che le varie fazioni della casata Targaryen ci saranno anche i draghi -che così facendo, sterminandosi a vicenda, creeranno la loro stessa sparizione-.
Era inevitabile che, quindi, il prequel dovesse essere differente nei toni e nei ritmi rispetto alla serie madre. E per fortuna: una copia di Game of Thrones non sarebbe piaciuta a nessuno ed avrebbe creato non pochi malumori.
Ecco che, allora, per raccontarci questa danza ed i suoi prodomi il prequel si stacca dal formato con cui ha costruito il proprio successo Game of Thrones per correre su binari più tradizionali, ma adatti a raccontare una saga familiare come questa.
House of the Dragon ci mostra meno luoghi diversi l’uno dall’altro, ma soprattutto ruota intorno ad un numero di personaggi decisamente inferiore. Ma è intorno a loro che ruota una nuova concezione di viaggio, non più spaziale ma temporale. Dopo aver visto Stark, Lannister e Targaryen vagare per i Sette Regni prima dell’arrivo dell’inverno, gli antenati di Daenerys viaggiano ovvero crescono: House of the Dragon si sviluppa infatti nell’arco di più anni, mostrandoci in alcuni casi versioni giovani ed adulte degli stessi personaggi, come Rhaenyra Targaryen (interpretata prima da Milly Alcock e poi da Emma d’Arcy) ed Alicent Hightower (interpretata prima da Emily Carey e poi da Olivia Cooke).Dentro i Targaryen
Questo permette alla serie di esplorare meglio decisioni e dubbi che affliggono non solo Re Viserys I (Paddy Considine) ma anche il resto della sua famiglia. I Targaryen, in questo senso, restano la casata più affascinante creata da Martin: tra follia, dedizione ed ambizione sfrenata, il catalogo di emozioni che i suoi membri possono offrire resta davvero alta.
Questo è uno di quei dettagli che permettono di fare da gancio alla serie madre: così come Game of Thrones, anche House of the Dragon sa stupire e spaventare a forza di immagini cruenti ed effetti speciali, ma non si dimentica affatto del lavoro di scrittura dei personaggi, senza cui si potrebbe avere tutto il budget del mondo, ma non servirebbe a niente.
Personaggi che per un motivo o per l’altro spiccano: se gli uomini si fanno più portavoce di tutto ciò che è il racconto della politica al tempo dei draghi e delle ripercussioni dell’intreccio tra famiglia e potere, le donne delle serie diventano moderne eroine in cui la rappresentazione della lotta al patriarcato passa per piccoli e grandi gesti che, se non oggi domani, porteranno ad avere i loro risultati. Un po’ come fece Daenerys, colei che non voleva far parte della ruota che gira, ma spezzarla.
Ok ma il “Fuoco e sangue”?
Avrete insomma capito che House of the Dragon riesce a non far rimpiangere Game of Thrones e a inserirsi molto bene nell’universo creato da Martin, senza stravolgere né pretendere di voler fare dimenticare la sua serie precedente.
Ma se la serie è tratta da un romanzo il cui titolo è “Fuoco e sangue” ci sarà un motivo. House of the Dragon promette infatti scene di violenza in pur stile Trono di Spade, ma soprattutto promette numerosi draghi. Se in Game of Thrones abbiamo dovuto aspettare anni per vedere la Khaleesi cavalcarli, ora il racconto -e il budget- permettono di avere più di un drago sopra le teste dei personaggi fin dal primo episodio.
Scene che ci avevano lasciato a bocca aperta ne Il Trono di Spade trovano ora spazio in un modo che ai nostri occhi potrebbe sembrare più ordinario, ma non va dimenticato che lo sforzo per realizzare un drago in computer grafica non è affatto cosa da poco; figuriamoci quando i draghi e le scene in cui vanno all’azione sono molti di più.
Anche questo rientra nello spirito con cui la Hbo ha deciso di azzardare, rilanciando uno dei suoi marchi di fabbrica più di successo a tre anni di distanza e con una storia dai toni epici ma sanguinari. Ne voleranno delle belle, pare.